Verso la condivisione
di Nina Verdelli
Testata: Vanity Fair
C’è un nuovo ddl da conoscere, il ddl Nannicini-Fedeli, proposto dai due Senatori dem. Si tratta di una normativa che vuole proporre un cambio di paradigma per valorizzare il ruolo dei padri al fine di liberare le madri lavoratrici dalla gabbia della conciliazione casa/lavoro.
Questo articolo è pubblicato sul numero 30-31 di Vanity Fair
«A me la pandemia ha fatto un grande regalo: mi ha permesso di restare accanto alla mia bambina appena nata». A parlare, nell’articolo di Nina Verdelli che trovate a pagina 34, è Paolo Corolli, 48 anni, di Milano, diventato papà a marzo 2020. Pur consapevole degli orrori che in quel momento attanagliavano l’Italia e il mondo, Paolo continua a dirsi grato per la possibilità che ha avuto di restare accanto alla moglie Maria Luisa durante tutto lo svezzamento della figlia.
Dello stesso avviso, nella stessa condizione, un altro papà, Aldo Di Bisceglie, 36 anni: «Vivendo ora dopo ora accanto a mio figlio appena nato, ho capito l’estrema fatica a cui è sottoposta una donna al ritorno dall’ospedale». Abbiamo voluto dedicare la copertina di questo numero di Vanity Fair e un’inchiesta al suo interno al tema della paternità e al cambiamento culturale che sta attraversando la società. Dalle famiglie eterosessuali a quelle di genitori single fino a quelle omogenitoriali, è forse arrivato finalmente il momento di fare un passo in avanti rispetto a quello che pensiamo di sapere in fatto di genitorialità.
Una precisazione: lasciate perdere le banalizzazioni degli sfottò al concetto di genitore 1 e genitore 2, ennesimo esempio di arma di distrazione di massa del peggior populismo. Da scoprire e conoscere, al contrario, è un nuovo disegno di legge, il ddl Nannicini-Fedeli, proposto dai senatori Pd Tommaso Nannicini e Valeria Fedeli. Si tratta di una normativa che vuole proporre un cambio di paradigma per valorizzare il ruolo dei padri al fine di liberare le madri lavoratrici dalla gabbia della conciliazione casa/lavoro. Fino a oggi, infatti, un padre può prendersi un massimo di dieci giorni di congedo parentale, ma se il ddl passasse potrebbe beneficiare dei cinque mesi concessi alle madri, retribuiti al 100 per cento.
Che senso ha, voi direte, discutere di tutto questo in un post-pandemia? Non ci sono altri problemi più importanti? I problemi più importanti ci sono sempre e non impediscono mai di lavorare su tutti i passi in avanti che una società può e deve fare. Tra questi, a nostro parere, c’è anche quello che riguarda la figura paterna, da equiparare finalmente a quella materna in fatto di gestione dei figli. Ancora una volta, ci viene in aiuto la testimonianza di un altro papà, Andrea Corona, 41 anni, padre di Federico, partorito dalla moglie Benedetta a fine gennaio 2020. «Nelle prime settimane dopo il parto, quando stavo in ufficio tutto il giorno, si era creata una sorta di tensione tra me e mia moglie. Da quando ho iniziato lo smart working, invece, il rapporto di coppia è migliorato. Benedetta e io siamo diventati alleati, complici: se lei dava il biberon, io preparavo il bagnetto, se lei cambiava il pannolino, addormentarlo toccava a me. Oggi so fare tutto, Federico lo sente, si fida di me come di sua madre. Ben venga una legge che consente di passare da una cultura della maternità a una cultura della genitorialità».
E qui arriviamo al cuore della questione: passare da una cultura della maternità a una cultura della genitorialità aiuterebbe a rendere tutti più liberi e più maturi. Sarebbe un’altra emancipazione dall’imperante, ma ormai declinante, patriarcato. E poco importa se alcune estreme destre europee continuano a difendere la gabbia della famiglia «uomo alfa» e «donna per natura più portata per l’accudimento» (parole loro): la società e i suoi cambiamenti sono già un passo oltre. È arrivato il momento di trasformare questo passo in una legge. Ne trarremmo vantaggio tutti. Proprio tutti.