Un debito di cemento
di Serena Righini
Il Rapporto ISPRA sul consumo di suolo 2020 attesta come l’Italia sia ancora molto lontana dall’obiettivo europeo di non consumare più nuovo suolo entro il 2050. Ma la cosa più preoccupante è che in Italia il cemento cresce più velocemente della popolazione: nel 2019 si sono impermeabilizzati 57 milioni di metri quadrati, se mettiamo in relazione questo dato con il numero di nati (420 mila bambini) è come se ogni neonato italiano nascesse portandosi 135 metri quadri di cemento.
Non è un problema solo di numeri, infatti si confermano, da un lato, i fenomeni diffusione e dispersione territoriale (che generano insediamenti dipendenti dall’uso dell’automobile) e dall’altro la “densificazione” di aree urbane che compromette le aree naturali, così preziose nel contrasto ai cambiamenti climatici. Mentre le aree interne più marginali sono sempre più abbandonate.
Le aree che registrano le maggiori percentuali di consumo di suolo sono Veneto e Lombardia, seguite da Puglia e Sicilia, quasi a contrastare il triste – e grigio – primato del Nord. Mentre tra le province, Verona è quella che ha fatto peggio, seguita da Brescia e Roma.
Che fare? Serve con urgenza riaprire il dibattito su una legge nazionale che contrasti questo fenomeno, che, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 punti a ridurre le nuove superfici impermeabili e incentivi processi di riqualificazione urbana. Un intervento che dia ai Comuni gli strumenti per valorizzare le reti ambientali e imponga una valutazione ambientale stringente per i nuovi progetti che consumano suolo libero. Buoni esempi, da cui prendere spunto, non mancano. Un vero programma di Green Deal passa anche da qui.