Riformismo e conoscenza
di Valeria Fedeli
Cosa significa essere riformisti? La domanda che si è posto che e che ci pone Tommaso Nannicini può apparire provocatoria, di scarso interesse se non per salotti politicisti, in un momento storico in cui ormai sono talmente tanti coloro che si vogliono definire riformisti da saturare – quasi – il termine, fino a fargli perdere pregnanza e senso.
Ma non è così. Quella di Nannicini, cui mi associo, è la rivendicazione di uno spazio politico che è tutto tranne che autoreferenziale e tattico, dedito invece a conoscere, leggere, migliorare la realtà vissuta da persone in carne ed ossa, quelle persone in nome delle quali svolgiamo la nostra funzione di rappresentanti eletti in Parlamento.
Riflettere su cosa sia il riformismo, in senso storico e attuale, è allora un modo non solo per scegliere da che parte stare, ma per provare a orientare tutto il nostro sistema politico-parlamentare.
L’approccio riformista – che a me, come a tante e tanti altri, è stato insegnato da grandi personalità che ho avuto la fortuna di incrociare nelle esperienze sindacali e politiche – è sempre mirato a migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, davvero, concretamente, ogni giorno un poco di più.
Ricordandosi che la qualità della vita delle persone è determinata da un intreccio indissolubile di esperienze, dalle condizioni di lavoro all’esercizio dei diritti, dalle pari opportunità alla salute, dalla libertà all’uguaglianza, dall’accesso reale all’istruzione e formazione, alla conoscenza.
Essere riformisti significa allora scegliere il rigore dell’analisi, mai piegata da forzature e parzialità.
Scegliere di puntare sul coraggio delle idee e sulla forza dell’impegno.
Scegliere, sempre, la ricerca di punti di condivisione, di dialogo per ottenere risultati concreti.
Scegliere di sfidare ogni estremismo, di vivere invece responsabilità come imperativo quotidiano misurato su risultati a beneficio collettivo.
Scegliere di non inseguire chimere ideologiche, ma di perseguire visioni e soluzioni concrete.
Scegliere, quindi, di costruire relazioni di rappresentanza e di consenso serie, fondate, sincere, argomentate, non demagogiche e non ingannevoli.
Scegliere di orientare ogni prospettiva e ogni politica all’interesse generale, sapendo che è l’unico modo di fare l’interesse anche di ogni singola porzione di società.
Ecco perché la riflessione che ha lanciato Nannicini è importante, decisiva per la qualità della politica e della rappresentanza.
Se per tanto tempo abbiamo distinto – nell’ambito della sinistra – tra posizioni riformiste e massimaliste, oggi il riformismo si presenta come chiave per sfidare e battere il populismo, smascherandone l’inganno di fondo.
La vicinanza da un lato, per il populismo, come chiave principale di una rappresentanza costruita sull’emozione, soprattutto negativa, ma alla fine effimera e ingannevole; la distanza, dall’altro, come strumento di conoscenza, di visione e di condivisione di un riformismo capace di assumersi le necessarie responsabilità politiche, sociali ed etiche nei confronti dell’interesse generale.
Il riformismo ci spinge a cercare un senso prima e oltre il consenso.
A dichiarare gli obiettivi politici prima, per poi scegliere gli strumenti adeguati.
A indicare le priorità che ci paiono giuste, non quelle che ci portano un applauso o un like in più.
A ritrovare, far crescere e condividere sempre di più un’idea di futuro positiva, inclusiva, capace di far ripartire fiducia e speranza.
Dopo gli stravolgimenti che abbiamo subito a causa della pandemia è il tempo di prendersi cura del cambiamento che dichiariamo e vogliamo realizzare, di cambi radicali di paradigma, di impostazione e di visione rinnovate, di priorità conseguenti, di rilancio di connessioni politiche capaci di arrivare al risultato, migliorando la qualità della crescita, la qualità del lavoro, la qualità del rapporto uomo-natura, delle relazioni uomo-donna, la qualità della convivenza democratica.
Abbiamo l’occasione di produrre una rivoluzione nei prossimi anni, ma potremo farlo solo con un approccio riformista.
E con una scelta di fondo di cui sono profondamente convinta: la conoscenza come valore, come obiettivo, come strumento. Per rivoluzionare culture, obiettivi, politiche, ma anche vite e quotidianità delle prossime generazioni.
Puntare su quella che chiamo filiera della conoscenza, che significa puntare su educazione e formazione come fattori di uguaglianza, di affermazione individuale e di benessere solidale collettivo. Sull’istruzione e sull’apprendimento come diritti da garantire a tutte e tutti e lungo tutta la vita.
Senza scuola di qualità per tutte le bambine e i bambini, fin da piccolissimi, non può esserci futuro. E questo è ancora più vero quando la società globale e interconnessa, in cui noi adulti ci siamo trovati quasi d’improvviso e in cui crescono e vivranno le prossime generazioni, si caratterizza come una società in perenne e rapida trasformazione, su cui la pandemia ha impresso un’ulteriore esponenziale e imprevedibile accelerazione.
Ecco perché conoscenze e competenze – linguistiche, matematico-scientifiche, digitali, relazionali, di cittadinanza – sono lo strumento più prezioso, e probabilmente l’unico, di cui possiamo dotare cittadine e cittadini di domani per affrontare un mondo che oggi possiamo solo provare a immaginare.
Puntare sulla conoscenza significa allora liberare il più grande moltiplicatore di opportunità che abbiamo a disposizione e agire concretamente nel solco di quell’uguaglianza sostanziale tra ogni donna e ogni uomo sancita dall’Art. 3 della Costituzione.
Significa la possibilità di trovare un lavoro di qualità, di realizzare progetti di vita soddisfacenti, di sentirsi dentro un sistema economico e sociale che punta sulle competenze, sull’innovazione, sulla ricerca, sul digitale, che stimola un contributo collettivo a una crescita sostenibile, con maggiore redistribuzione, maggiore benessere diffuso e maggiore senso di comunità.
È qualcosa che implica scelte concrete, dagli investimenti sugli asili (importanti non tanto per “liberare il tempo” delle donne, ma per offrire da subito un accesso diffuso e paritario al sistema educativo) all’ampliamento dell’obbligo scolastico, dai dai 3 ai 18 anni, fino ad un serio, capillare ed efficace sistema di formazione continua, che accompagni le diverse fasi di vita.
La conoscenza, lo abbiamo visto anche e molto in questo ultimo anno affidandoci alla scienza per superare la pandemia, è sempre stata e sempre sarà la risposta. Ed è un fattore competitivo su scala globale, che un Paese come in nostro non può lasciarsi sfuggire.
Nello scegliere allora come declinare il riformismo oggi non ho dubbi su scegliere di ri-fondare la società del futuro sulla conoscenza, quindi sull’uguaglianza, sulla qualità del lavoro e delle altre esperienze di vita, private come di comunità.
Perché ognuna e ognuno possa partecipare essendo informato e formato, scegliere consapevolmente, riconoscere il valore delle differenze, rispettando ambiente e persone, condividere sempre di più e sempre con più conoscenza.
Per essere protagonisti delle sfide del futuro: delle innovazioni di ogni sorta, della crescita tecnologie e digitale, di intelligenza artificiale, robotica, big data, nuove dinamiche sociali e di partecipazione.
Per uscire dalla crisi, per affrontare ogni crisi che seguirà, per governare il cambiamento di una società complessa e frammentata, per migliorare la vita delle persone.
Perché la conoscenza permette di rendere universale ciò che è solo di pochi, serve per essere pari.
La conoscenza è l’obiettivo e lo strumento del riformista.
Del vero riformista, quello convinto, come diceva Lama, di «un riformismo con proposte per cambiare e non per lasciare le cose come stanno”.