Ecologia e riformismo
di Matteo Reale
Possiamo rintracciare nelle battaglie politiche per l’ambiente un primo elemento comune, tra i tanti, che oggi è sotto gli occhi di tutti: il processo di trasformazione della società.
Trasformazione della società
Da sempre infatti l’ecologia ha posto i temi della difesa della Natura e della lotta all’economia fossile come propedeutici a un cambiamento negli assetti della società: per taluni, i più estremisti, come propaggine del pensiero anticapitalista; per altri, che definirei ambientalisti laici, come necessità di rinnovare alcuni processi economici, politici, sociali.
La trasformazione è oggi diventata chiarissima all’opinione pubblica e, in parte, inevitabile. Tanto è vero che il PNRR prevede la più parte degli interventi proprio nella direzione, potremmo dire, del mitigamento e dell’adattamento. Questo vuol dire innanzitutto che è iniziato un percorso di riconversione industriale che vede nell’elettrico e nell’idrogeno, e sempre meno nel fossile (petrolio, gas, carbone), la fonte di energia primaria e di motore dell’economia.
Riconversione diffusa
A questo punto della riconversione, l’analisi di un riformista può vertere su due punti: quanto tempo è necessario per completare la prima fase della riconversione e che strati economici e sociali tocca. Tralasciamo la prima, più tecnica, e soffermiamoci sulla seconda. Come “nessun pasto è gratis” (secondo un proverbio americano ripreso da Milton Friedman), così nessuna riconversione è senza costi e senza impatti, perché modifica strutture industriali, di lavoro e di vita consolidate. Un’Italia cresciuta per molti anni grazie ad automobili a benzina, edilizia urbana a poco valore aggiunto e manifattura di esportazione si trova oggi a dover immaginare nuovi asset. Innanzitutto diciamo che i benefici ambientali non saranno tali se questa trasformazione non sarà diffusa e capillare, se non riguarderà cioè anche il mondo delle PMI, che non sono pronte al passaggio e non hanno risorse sufficienti per compierlo. La politica riformista ha individuato nella formazione continua e nelle politiche di finanziamento mirato i primi interventi, necessari ma non sufficienti.
L’evoluzione ambientale oggi si salda con quella tecnologica e digitale: un’altra opportunità di sviluppo da assecondare oltre la scadenza del PNRR, attraverso modelli rinforzati di partnership pubblico/privato.
Giustizia sociale e qualità della vita
Accettato il fatto che la rivoluzione delle aspettative crescenti ha terminato il suo ciclo, bisogna convincersi che la transizione avrà un costo anche per i cittadini (ma chiariamo subito che l’attuale aumento dell’energia non è causato dalla transizione, ma semmai dal ritardo nella transizione), perché dovrà spostare voci di spesa da un capitolo all’altro, rischiando di lasciare scoperti alcuni settori; e perché gli effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento incidono maggiormente sulle aree periferiche o su strati sociali con minori mezzi a disposizione per difendersi. Dobbiamo respingere oggi il rischio di una segregazione alla brasiliana, nella quale a ricchi quartieri riqualificati e autosufficienti si contrappongono aree senza mezzi per proteggersi da inondazioni, calore, inquinamento. Dobbiamo chiedere una politica locale dedicata all’economia circolare e al verde inteso come propulsore della qualità della vita, superando una visione legata unicamente agli oneri di urbanizzazione.
Una politica attenta, se vorrà evitare l’effetto populista stile gilets jaunes, dovrà, gestire il passaggio dai sussidi al fossile ai sussidi all’elettrico, pensare alle aree urbanizzate a scarsa capacità di difesa ambientale, investire sulla contabilità pubblica ambientale (senza trascurare l’accountability del settore privato). Il Green Deal non può quindi essere isolato dal dibattito sulla governance delle finanze pubbliche.
Impatto positivo
L’obiettivo a medio termine è quello di creare un’economia a basso contenuto di carbonio che tenga conto, oltre che dei benifici economici per gli investitori come nell’economia classica, anche delle esternalità generate dalla sua attività. Un settore privato che allarghi quindi il suo perimetro di visione oltre i “cancelli della fabbrica” e si interroghi sulla qualità del suo intervento sulla comunità o sull’ecosistema (come indica l’esempio delle società benifit). Un’economia profit che impari dal terzo settore (per flessibilità, forza di mobilitazione ma soprattutto capacità di generare impatti positivi) e che sia premiato nella regolamentazione anche sulla base di questo.
Patto sociale ambientale
Quello che è necessario chiedere oggi alla riflessione politica è la generazione di un patto sociale ambientale che coinvolga i corpi sociali nella condivisione di un nuovo equilibrio, nel quale le prerogative della resilienza non siano solo la causale necessaria in ogni azione politica, ma il suo punto di bilanciamento.
Ha ragione Laurence Tubiana, già ambasciatrice sul clima per la Francia alla COP 21 di Parigi, quando spiega che a questi corpi sociali appartengono anche i cittadini, chiamati a esprimersi nei progetti di deliberazione collettiva, attraverso accordi di condivisione che sono veicoli di leadership distribuita. Il Green Deal deve quindi essere tradotto negli ecosistemi politici nazionali, e i patti sostenibili devono essere costruiti a partire dalle mobilitazioni e dai problemi della vita della cittadinanza, chiamata in alcuni casi ad auto-organizzarsi per gestire i beni comune (come nella riflessione della Ostrom).
Diplomazia climatica
Il Green Deal è l’occasione per rilanciare lo spazio politico europeo, e occupare un posto centrale sulla scena internazionale. E’ un progetto creato nel cuore delle istituzioni in risposta a una richiesta dei cittadini, e non un progetto portato avanti direttamente dai cittadini. Ma è la dichiarazione di un preciso posizionamento dell’Europa nei confronti del resto del mondo sul fronte della geopolitica economico-climatica. A questo quadro, in Italia e in Europa, manca un tassello: quello della diplomazia climatica. Sapere rafforzare il peso del Green Deal nei processi globali è quello che una politica riformista deve chiedere alle istituzioni del nostro Paese ed europee, per farli contare nelle priorità delle scelte climatiche internazionali, che impattano su carestie, guerre e migrazioni, sul commercio internazionale, sulla politica agricola e industriale, sul welfare e sulla salute.
Valore generazionale
C’è altro elemento di cui una politica riformista deve tenere conto: la battaglia ambientale è diventato oggi una prerogativa generazionale. I giovani si indentificano nelle lotte ambientali perché conferiscono loro un senso valoriale nella direzione della giustizia sociale e tra generazioni, senza steccati; per immaginare un mondo diverso; per partecipare e condividere delle scelte. E’ un significato politico non banale, che invita a conciliare i diritti delle nuove generazioni con il supporto alle fasce sociali più deboli colpite dalla transizione.
Difficoltà della politica tradizionale
Quello che sorprende è che spesso la politica tradizionale non riesca a incorporare la sostenibilità all’interno della sua agenda, facendone uno dei punti qualificanti della sua azione, anche se è una delle poche e vere novità politiche degli ultimi decenni, soprattutto sul fronte progressista. Si tratta di un deficit culturale, innanzitutto, dovuto a una formazione materialista e vetero-industriale che ha impedito di vedere lo sviluppo dei nuovi processi del settore primario e terziario e della cosiddetta ecologia industriale. Il rinnovamento richiesto dalla resilienza è stato vissuto da una parte degli schieramenti come anti industriale; dall’altra, come regressivo e inevitabilmente superato dal progresso tecnologico. In realtà si è voluto chiudere gli occhi di fronte a una realtà che arrivava inevitabilmente a scompaginare gli assetti, ma che non pagava (e non paga) sul fronte elettorale.
Razionalità senza soggetto
C’è infine una questione più astratta. Un certo ambientalismo fa a pezzi l’Illuminismo progressista, che vedeva nel razionalismo soggettivo e nella lotta alla Natura i capisaldi del suo pensiero. Oggi invece l’Ambiente si è imposto come portatore di diritti e quindi come soggetto politico (la tutela della natura, i diritti degli animali, la preservazione dell’ecosistema). Ma nelle sue forme più estreme, alla stregua di un Faust “post litteram”, lo fa a modo suo: esprimendo una razionalità senza soggetto (“la Natura si ribella all’uomo e agisce secondo le proprie leggi”), che travolge il posto nel mondo che l’individuo si è assegnato. Una deriva a rischio di irrazionalismo, cui il riformismo deve reagire, conducendo l’individuo/cittadino del mondo a riappropriarsi del suo ruolo di agente di diritti soggettivi, ma trasferiti oggi all’ecosistema in cui vive e opera.