Ripresa = uguaglianza
di Chiara Gribaudo
L’occupazione femminile è un’emergenza nazionale.
I dati ISTAT sul mese di dicembre hanno confermato le prospettive più buie: su 101.000 posti di lavoro persi rispetto a novembre, 99.000 sono di donne. Le donne per le quali non c’è blocco dei licenziamenti che tenga, perché hanno un contratto precario, a termine. Le donne, troppe donne che lavorano così da sempre, tenute nell’incertezza, in condizioni impari rispetto ai colleghi uomini, pagate e promosse meno.
Non è uno sfizio di poche chiedere fondi e risposte concrete nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Negli ultimi mesi è esplosa la mobilitazione. Il 23 gennaio in cinque città italiane le donne del Giusto Mezzo, sigla che riunisce decine di associazioni e migliaia di persone, hanno manifestato nelle piazze con lo slogan #noncibasta, per chiedere progetti precisi e maggiori risorse per rispondere alla crisi nera che sta coinvolgendo soprattutto la metà rosa del Paese. A dicembre, tante donne italiane hanno aderito alla campagna europea Half of It, con il Manifesto delle Donne per la Salvezza. La richiesta comune di questi movimenti è quella di destinare almeno la metà delle risorse europee del Next Generation EU a misure che includano le donne nella vita sociale ed economia del Paese. Perché nella pandemia il solco della disuguaglianza di genere è diventato un burrone, e le donne stanno precipitando sempre più giù.
Un anno fa l’apertura massiccia di asili nido, l’approvazione della parità salariale, l’estensione dei congedi e i piani per l’occupazione delle donne venivano puntualmente rimossi dall’agenda delle priorità del governo, nonostante la battaglia durissima che in tante stavamo combattendo per vincere una guerra economica e culturale. Oggi nessuno può più permettersi che questi temi vengano posti in secondo piano. Nessuno può ripetere il sempiterno monito di Bankitalia, “l’occupazione femminile vale 7 punti di PIL”, senza fare niente di concreto per raggiungere quel risultato.
Prima del covid, in Italia il tasso di occupazione era del 67% per gli uomini e non arrivava nemmeno al 50% per le donne. Ora quel numero è un lontano ricordo. E chi ha mantenuto il lavoro, soprattutto se madre, ha passato il 2020 a fare welfare. In smart working a occuparsi del lavoro di cura dei figli o degli anziani. A tu per tu col virus, perché sono le donne la maggioranza negli ospedali e nelle case di riposo. La maggioranza nelle scuole. E alla fine di questa storia molti “grazie”, tanti “avete ragione”. La ragione si dà agli stupidi. Lo sappiamo già di avere ragione, ora vogliamo il giusto mezzo. E il giusto mezzo significa soprattutto pari occupazione, pari opportunità nel lavoro e di carriera, parità di salario e parità nella condivisione dei carichi familiari. Non conciliazione, ma condivisione. Perchè le donne devono poter lavorare, devono essere messe in condizione di lavorare.
Non è sufficiente che le misure del PNRR vengano valutate preventivamente sulla base dell’equilibrio di genere, soprattutto perché non è dato sapere quando saranno valutabili i progetti completi. Servono criteri precisi perché le misure incentivino le parità. Non possiamo permetterci questo ritardo. Nemmeno un euro deve arrivare a un’impresa che cercherà di licenziare una donna perché è incinta o non la assumerà perché è madre.
Non si raggiunge l’obiettivo di copertura all’80% degli asili, come chiede l’Alleanza per l’infanzia, con le risorse appena sufficienti ad arrivare alla soglia europea del 33%. Non basta scrivere sulla carta, senza dire come e senza risorse sufficienti, che si vuole stimolare lo studio delle materie scientifiche da parte delle donne, perché sono quelle che danno accesso agli stipendi più alti. Serve un congedo di paternità di 30 giorni, perché dopo la gravidanza abbiamo diritto di poter tornare a lavoro se lo vogliamo. E non serve un lavoro qualunque o precario, perché durante la pandemia abbiamo perso 1 milione di contratti a termine e quei contratti erano soprattutto di giovani e donne. Serve un lavoro di qualità, serve che le donne siano libere di scegliere e che vengano pagate quanto spetta loro, non un euro di meno di quanto vengono pagati gli uomini per lo stesso lavoro. Un diritto che sembra scontato e che invece ancora non lo è, perché in Italia nel 2021 una donna può guadagnare fino al 20% in meno di un collega uomo con lo stesso lavoro.
Le forze politiche saranno capaci di farsi carico di tutto questo, affinché diventi un cardine del programma del nuovo governo che si prefigura con l’incarico a Mario Draghi? La politica non è morta, ma inutile negare che è in forte affanno: solo un rilancio su questi temi potrà riavvicinarla alla vita delle persone. Un governo che non mette questa prospettiva al centro del suo operato, infatti, è un governo destinato a fallire nell’anno più importante per uscire dalla pandemia. Perché possiamo ottenere la ripresa soltanto se otteniamo l’uguaglianza.