Un fondo per la comunità
di Uwe Staffler
Ogni crisi cela le sue opportunità. Tra quelle dell’attuale pandemia dovrebbe figurare il piano di ricostruzione europeo. Nonostante il nostro paese tra i paesi UE figuri solo all’11esimo posto per casi Covid pro capite è insieme alla Spagna quello che ne approfitterebbe di più. Partendo dal presupposto che l’accordo tra i 27 sul finanziamento del piano vada in porto i progetti nazionali dovranno essere ultimati entro aprile e i primi soldi arrivare dalla seconda parte del 2021. Se il buon giorno si vede dal mattino esistono fondate ragioni di preoccupazione per la consistenza della proposta italiana. Da quanto si apprende mezzo stampa molto tempo è stato sprecato per stilare una lista della spesa senza apparente criterio unificante. Non è questo lo spazio per analizzarla in modo dettagliato, ma oltre a qualche proposta solida ve ne figurano troppe legate a interessi particolari e alcune superano i limiti di decenza e del grottesco. Chi di dovere saprà ripulirla, ma cosa si può fare nei prossimi mesi?
Ignorando al momento il pensiero della strategia del Governo e volgendo lo sguardo al passato, a partire dal New Deal del 1933, e agli altri paesi grandi dell’Unione, a partire dalla Francia (la Germania ha scelto un approccio diverso), si possono formulare alcune raccomandazioni:
Prima di stilare la versione definitiva del piano nazionale è bene definirne la strategia e le priorità. Non a caso i documenti della Commissione Europea mettono in risalto la resilienza, che dà sostanza alla sostenibilità. Attualmente spiccano due ostacoli che dovevano essere eliminati da tempo e ancora una volta il destino ci permette di affrontare: l’inefficienza della pubblica amministrazione e un sistema paese basato troppo sullo scambio di favori e interessi particolari – da qui anche la lamentata lista della spesa. Fortuna vuole che la digitalizzazione figuri tra le priorità finanziabili dal fondo, per cui l’Italia farà bene a concentrarsi molto bene su questa opportunità per la propria PA. Per evitare lunghi blocchi o, peggio, un risultato finale mediocre del piano per la necessità di sfamare troppe bocche e non deludere troppe attese è infine importante un grande atto di generoso coraggio della politica: dovrebbe scegliere il Papa straniero. Che sia guidato dal portavoce di ASVIS Enrico Giovannini o addirittura da una personalità straniera c’è bisogno di un direttorio che non risponda alle pressioni dei troppi interessi di parte e abbia forza e competenza per dare ordine progettuale alla miriade di idee e proposte in circolazione e che coinvolga il meglio del paese. Queste ultime non mancano, potendo contare su un tessuto di amministrazioni locali, anche le più piccole, piene di impegno e originalità, ma serve migliorarne da una parte il coordinamento e dall’altra la formazione alla sostanza. L’Italia è il paese delle idee brillanti, ma anche lacunosa nella capacità di farle diventare progetto e darle profondità. Affrontare questa sfida dal punto di vista formativo costa poco, garantisce risultati straordinari e trova in ANCI una struttura già pronta a implementarla.
Sarà poi importante individuare progetti faro, per forza di cose anche infrastrutturali, intorno ai quali si possa creare un sentimento di rinascita nella popolazione. L’idea del Ministro Provenzano di investire nella produzione di acciaio il più possibile sostenibile a Taranto come uno di quei fari è condivisibile. Un altro deve rappresentare la rete infrastrutturale del Meridione, treni e comunicazione digitale in primis. Nel settore edilizio questo Governo sulla carta ha prodotto un vero miracolo che va messo a terra senza indugio: il superbonus al 110% per riqualificazioni energetiche e antisismiche di qualità. Per funzionare ha bisogno di una significativa proroga ben oltre l’attuale termine del 31 dicembre 2021, ma è uno di quei progetti che raccoglie interesse e il plauso della comunità internazionale. Forse la versione prorogata con i fondi comunitari potrebbe essere allargata alla PA, in particolare all’edilizia scolastica, ed essere ancora più ambiziosa nei requisiti (e, perché no, nelle verifiche), ma intanto è un ottimo passo nella giusta direzione. Nel campo della mobilità la pandemia ha generato un inaspettato quanto benvenuto attivismo dei comuni, che va subito colto al balzo attraverso il rafforzamento poderoso dell’esistente strategia ciclabile, sia in ottica domestica che turistica, e un deciso investimento, che a volte può limitarsi al quasi gratuito accompagnamento benevolo, sulla liberazione dei centri dalle macchine private. Dulcis in fundo l’occasione può essere colta per spingere la nostra agricoltura al prossimo passo verso la qualità e il biologico, dove attualmente un paese coma la Svezia sfoggia percentuali migliori. Abbiamo terre e contadini che si conciliano molto bene con un graduale abbandono degli allevamenti intensivi di animali e un altrettanto continuo miglioramento della qualità dei nostri prodotti, con contestuale aumento della creazione di valore.
Se si prova a guardare e analizzare l’Italia con distacco è difficile non coglierne l’incredibile bellezza dal punto di visto naturale, paesaggistico, culturale e, perché no, di una popolazione piena di piccoli difetti e grandi virtù. Negli ultimi anni questo paese non ha dato il meglio di sé e sarebbe probabilmente in una situazione ancora peggiore senza l’appartenenza all’Unione Europea. Negli ultimi 8 mesi si nota una certa capacità di creare ulteriore debito per stanziare contributi e ristori a favore di settori in sofferenza, ma si cerca invano l’impegno a creare le condizioni perché questo debito possa anche essere ripagato senza mettere a repentaglio il futuro delle nuove generazioni. Questo impegno nel 2020 ha un nome e si chiama sviluppo sostenibile. Sarebbe in questo contesto necessario riflettere bene su iniziative e riforme poco o per niente onerose. Per l’ambiente non c’è sempre bisogno di grandi investimenti, spesso bastano visione e coraggio. Ciò premesso sarà bene investire sempre di più nell’UE, magari meno alla ricerca di alleati per tenere chiuse le piste da sci, ma piuttosto per una seria unione fiscale, un esercito comune e per mettere la salvaguardia del clima – a partire dalla urgente definizione e implementazione del valore economico della tonnellata di CO2 – nelle mani della comunità.
Una politica fatta di visioni e di forza rivoluzionaria in un paese benedetto come l’Italia crea valore e non debito. Visti i fallimenti degli ultimi anni farebbe bene anche un minimo di umiltà. Vedere che a fronte della disponibilità enorme di 240 miliardi di Euro si stila una seppur provvisoria lista di proposte da 600 miliardi, molte delle quali completamente inutili e insensate, lascia sbigottiti. Insieme ai compagni di viaggio dell’epoca e a un Sindaco illuminato nel 1987 Alexander Langer fondò a Città di Castello la “Fiera delle Utopie Concrete”. Si ha l’impressione che a oltre 30 anni di distanza ci sia più che mai bisogno di uno spirito un po’ rivoluzionario e un po’ con i piedi per terra, per cogliere un’opportunità probabilmente irripetibile nel medio periodo e definire un sogno che possa diventare realtà. Il rifacimento dei marmi davanti alla Farnesina o l’istallazione di un sistema di domotica avanzato all’interno del Ministero degli Esteri, per citare due proposte a caso, non fanno parte di questo sogno. Forse chiedere qualche miliardo in meno, tanto per dare un segnale…