Pandemia e disabilità
di Lisa Noja
Oggi è la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Una data che dovrebbe indurre tutti non tanto a “celebrare” una ricorrenza ma a una vera e propria mobilitazione collettiva in un anno difficilissimo per le persone con disabilità.
Per molte persone con disabilità, infatti, la pandemia non solo rappresenta un rischio per la salute molto grave ma comporta sacrifici quotidiani spesso enormemente più significativi di quelli sofferti dagli altri.
E così, se la chiusura della scuola in presenza ha impoverito la formazione educativa di tutti gli alunni e le alunne del nostro Paese, per i bambini e le bambine con disabilità ha spesso significato la perdita totale di ogni contatto con la propria classe e l’interruzione di percorsi di inclusione costati anni di sforzi e impegno.
Se il lockdown è costato tanta fatica agli italiani, per tanti cittadini con disabilità ha spesso coinciso con la sospensione di servizi essenziali per lo svolgimento persino di attività quotidiane di base – lavarsi, vestirsi, mangiare – ovvero per assicurare livelli minimi di benessere fisico e psichico.
Se restare chiusi in casa ha tolto serenità a tutti, e ai giovani in primis, per i ragazzi e le ragazze con disturbo dello spettro autistico o con disabilità intellettive, per i quali è essenziale trascorrere tempo in spazi ampi e svolgere attività fisica, quei mesi di isolamento hanno voluto dire vivere giorni di insopportabile prigionia insieme alle proprie famiglie, spesso lasciate a gestire questa angoscia in totale solitudine.
Se ognuno ha visto la propria socialità messa a dura prova dalle misure di contenimento del virus, tantissime persone con disabilità si trovano a vivere, da mesi, una vera e propria segregazione, in casa o in RSA, private di qualsiasi possibilità di contatto con i propri affetti.
Ed elevatissimo potrebbe essere anche il prezzo pagato proprio dalle persone con disabilità alla crisi economica, con il pericolo concreto di essere i primi a uscire dal mondo del lavoro, nel caso in cui vi siano entrati, ovvero di esserne preclusi definitivamente.
La pandemia, dunque, ha prostrato la vita delle persone con disabilità con una violenza senza precedenti. Questo impatto terribile, però, non è solo legato a tutte le carenze strutturali, ai nodi mai sciolti del nostro welfare, conosciuti da anni ma emersi ora in tutta la loro gravità.
C’è un pericolo più profondo che il Covid-19 sembra poter portare con sé. E’ un pericolo che sta nella narrazione insensibile sulla mortalità da Covid-19 che ha ripetutamente indugiato in espressioni come “muoiono solo i fragili”, “non sono morti da Covid ma con il Covid”, “sono morti perché erano già malati”, quasi che ci fossero vite un po’ meno degne di altre. Sta nella spregiudicatezza con cui si è parlato di persone “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Sta nella disinvoltura con cui si è fatta avanti in più occasioni la proposta di lockdown selettivi per la popolazione più fragile, per consentire agli “altri” la ripresa di una vita normale, come se potesse esistere una normalità umana fondata sulla segregazione a tempo indeterminato di un parte della popolazione.
Mai come quest’anno le persone con disabilità troppo spesso si sono sentite neglette, trattate come un mondo a parte, con meno bisogni esistenziali, con meno desideri, con meno aspirazioni.
La negazione silenziosa e costante dei diritti fondamentali delle persone con disabilità, divenuta così grave e diffusa durante la pandemia, non è un fatto che deve preoccupare solo alcuni. Riguarda tutti, perché difendere con le unghie e con i denti le conquiste costate anni di battaglie civili per i diritti delle persone con disabilità, che trovano nella Convenzione ONU la loro massima espressione, vuol dire assicurare il progresso ed evitare il regresso della vita democratica del nostro paese.
In Italia, il raggiungimento di molte di quelle conquiste è iniziato proprio nei vent’anni seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale e alla caduta dell’orrore nazifascista, quando il nostro paese poteva apparire più debole e, invece, si è scoperto più forte e più giusto.
Come allora, oggi più che mai occorre la consapevolezza che nessuna ricostruzione economica sarà possibile nell’era post Covid se non porterà con sé anche la riconferma di un patto di solidarietà umana che includa tutti e che si fondi su quel principio di uguaglianza sostanziale che i nostri padri costituenti scrissero con tanta lungimiranza nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione italiana.
Questo dovrebbe essere il 3 dicembre nell’anno della pandemia.